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giornali e giornalisti giugno 13, 2009

Posted by pagineonlife in società.
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Ho gettato un po’ di vecchi giornali. Non ce la facevo più:  erano ovunque, in studio, nella sala, all’ingresso, sopra le panche e sotto la scrivania. Carta e polvere. Erano decisamente troppi. Ma non ho buttato nessun numero del Manifesto. Li ho sfogliati, anche se in fretta, e con grande cura dopo averli ripiegati li ho infilati in bell’ordine su un tavolo uno sopra all’altro:  quelle riflessioni, quegli articoli e qui reportage sono per me una buona lettura e una intelligente interpretazione del mondo e della nostra storia. Magari un domani potranno servire ai miei figli che certo potranno meglio orientarsi tra respingimenti, sentenze Mills, veline, decreti Alfano, manette per i giornalisti, e giornali alcuni buoni altri molto meno perché merce scadente.

Potranno capire che la libertà di stampa non è un privilegio per i giornalisti, ma un diritto dei cittadini e che troppo spesso quel diritto ai cittadini non viene più garantito. E che l’informazione non è solo merce ma che produce idee e pensieri. Ed è democrazia. Ma, come la bomba atomica, non è per niente neutra.

Ho deciso di aderire e sostenere la “Società Pannunzio per la libertà di informazione”. Non conosco personalmente i fondatori, ma condivido gli scopi di questa associazione e le critiche che muovono al sistema dell’informazione nel nostro paese a cominciare da chi fa informazione e da come la fa.  Riporto qui: 1)la lettera inviata al direttore de La Stampa dalla Società Pannunzio e 2) quella inviata al direttore de Il Giornale anche questa sempre mandata dalla Società Pannunzio.

Lettera 1, il caso Andreotti:

“Egregio Direttore, il suo editorialista Carlo Federico Grosso in un articolo su “La Stampa”, 21 maggio 2009, intitolato “L’arbitro non va mai fischiato”, comincia il suo pezzo con “Andreotti è stato, in passato, ingiustamente accusato di attività mafiosa ecc”. Sappiamo tutti che le opinioni sono sacre, ma altrettanto sacri sono i fatti. E Grosso, che è un illustre giurista, sa sicuramente che nel 1984 la Corte di Cassazione emise una famosa sentenza in cui affermava che “la verità dei fatti, cui il giornalista ha il preciso dovere di attenersi, non è rispettata quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato. La verità non è più tale se è “mezza verità” (o comunque, verità incompleta): quest’ultima, anzi, è più pericolosa della esposizione di singoli fatti falsi per la più chiara assunzione di responsabilità (e, correlativamente, per la più facile possibilità di difesa) che comporta, rispettivamente, riferire o sentire riferito a sé un fatto preciso falso, piuttosto che un fatto vero sì, ma incompleto. La verità incompleta (nel senso qui specificato) deve essere, pertanto, in tutto equiparata alla notizia falsa”. Fin qui la Cassazione. Quindi Grosso ha scritto il falso quando ha omesso che la sentenza della Corte d’Appello di Palermo, che mandava assolto l’on. Giulio Andreotti con la motivazione che dopo il 1980 non erano a sufficienza provati (c.2 art. 530) i rapporti tra l’imputato e i capimafia corleonesi Rijna e Provenzano, aggiungeva che al contrario era provato, ma caduto in prescrizione per soli quattro mesi, il reato di «vera e propria partecipazione alla associazione mafiosa, apprezzabilmente protrattasi nel tempo», almeno fino alla primavera del 1980. L’anno dopo, la Corte di Cassazione confermava la sentenza di appello, ribadendo: «Quindi la sentenza impugnata, al di là delle sue affermazioni teoriche, ha ravvisato la partecipazione nel reato associativo non nei termini riduttivi di una mera disponibilità, ma in quelli più ampi e giuridicamente significativi di una concreta collaborazione». Sarebbe onesto che i vostri lettori conoscessero i fatti non stravolti, soprattutto in un editoriale di apertura della prima pagina. Cordiali saluti”. (28 maggio 09)

Lettera 2, il caso Berlusconi:

“Egregio Direttore, in un suo articolo sul “Giornale”, 21 maggio 2009, intitolato “Un procedimento ridicolo, senza uno straccio di prova”, Filippo Facci ha scritto tra l’altro: “Peccato per due dettagli. Il primo è che la «reticenza» di Mills contribuì alla condanna in primo grado di Silvio Berlusconi nel processo All Iberian, successivamente assolto [corsivo nostro] ma non grazie a Mills”. Sappiamo tutti che le opinioni sono sacre, ma altrettanto sacri sono i fatti. E tutti sanno che è un fatto che Berlusconi nel caso All Iberian non fu assolto. Nelle stesse conclusioni (5.3) della sentenza Mills è riportato come un dato indiscutibile che nel caso All Iberian “i fatti relativi all’illecito finanziamento a Bettino Craxi da parte di Fininvest tramite All Iberian sono definitivamente provati, visto che la sentenza di primo grado, di condanna dei vertici della società e fra essi di Silvio Berlusconi, non è stata riformata nel merito, ma per intervenuta prescrizione”. Per Facci una condanna più una prescrizione equivalgono ad una assoluzione. Forse sarebbe onesto che i vostri lettori conoscessero i fatti non stravolti. Cordiali saluti”. ( 28 maggio 09)

NB. Mario Pannunzio, figlio di un avvocato abruzzese, militante comunista, nel 1932 fondò la rivista Oggi, che dovette chiudere dopo pochi numeri per ragioni politiche. Collaborò con Leo Longanesi alla redazione del primo rotocalco italiano, Omnibus, presto soppresso dalla censura fascista. La stessa sorte ebbero altri due settimanali: Tutto e Oggi, diretti insieme ad Arrigo Benedetti. Dopo l’armistizio dell’8 settembre del ’43, Pannunzio partecipò alla Resistenza e insieme ad altri amici fondò il Partito Liberale; nel dicembre 1943 fu anche arrestato e imprigionato a Regina Coeli per alcuni mesi, sfuggendo per caso alla strage delle Fosse Ardeatine. La politica, sia pure espressa con la parola scritta, rimase per Pannunzio l’impegno preminente. Dopo la Liberazione diresse il Risorgimento Liberale, fino alla sua uscita dal PLI dopo la sconfitta nelle elezioni del 18 aprile 1948, che Pannunzio attribuiva alla sudditanza dei liberali alle organizzazioni padronali e all’abbandono della tradizione risorgimentale. Nel febbraio del 1949 fondò il Mondo, che s’impose come uno dei giornali più innovativi nel panorama italiano. Nel dicembre del 1955 fu tra i fondatori del Partito radicale, dal quale Mario Pannunzio si dimise nel 1963.